Trulli di Alberobello tra sogno e realtà

Alberello - Trulli

Qui in Puglia Alberobello ne è la capitale ma ce ne sono migliaia, disseminati nella Valle d’Itria e nelle nostre campagne. La mia famiglia ne possiede un piccolo complesso!

Parlo dei Trulli!

I miei genitori li acquistarono, mezzo diroccati, quando io ero adolescente e ci sono voluti anni per poterli ristrutturare del tutto.

Ricordo sempre con grande piacere quando, all’inizio dell’estate, finita la scuola, si andava a “villeggiare” in campagna, nei trulli, per sfuggire al caldo soffocante del paese.

Arrivati lì, nei trulli, potevi finalmente prendere fiato e rilassarti. La pace e il silenzio regnavano sovrani. Il primo anno i miei non portarono neanche la tv!

Ho avuto una grande fortuna a dormire nei trulli e lo consiglio a tutti, specialmente a coloro che amano il fresco naturale, senza l’uso di climatizzatori!

Vi starete chiedendo come possa essere venuto in mente agli antichi “mest trullèr” di costruire abitazioni simili.

Partiamo dall’inizio!

Trullo, dal latino turris, trulla, o dal greco tholos, o dal greco-bizantino torullosa, tutti significanti “Cupola”, sono costruzioni che risalgono alla preistoria.

Si sviluppano concretamente intorno all’anno mille, nell’attuale territorio di Alberobello, dove sorsero due insediamenti, a monte e a valle del fiume che ora scorre sotterraneo.

E’, tuttavia, nel 1300 che quello che era un territorio desolato, venne affidato a Goffredo di Conversano da Roberto D’Angiò, principe di Taranto e poi Re di Napoli dal 1309 al 1343.

L’appezzamento di terra fu regalato a Goffredo per i suoi servigi, resi durante le Crociate.

Il territorio venne, pertanto, popolato di nuovo, spostando interi insediamenti dai feudi vicini.

Le abitazioni, con gli anni, si accorparono sempre più, formando due rioni: Aja Piccola e Monti, attualmente abitati.

Fu solo nel 1620 che Alberobello acquisì completa autonomia dalla vicina Noci.

Nel 1797 ottenne, dal Re di Napoli Ferdinando IV il Borbone, il titolo di Città Reale.

Da un punto di vista strutturale i trulli sono costruiti interamente con pietre di natura calcarea, provenienti dal territorio circostante, senza l’uso di malta, completamente a secco.

La cosa può apparire strana e si arriva a credere che i trulli siano delle strutture precarie ma non è così. Risultano, al contrario, delle costruzioni molto stabili e sicure.

Lo spessore di un muro può raggiungere i due metri!

Un motivo per questo tipo di costruzioni, tuttavia, c’è.

Pare sia stato imposto dai Conti di Conversano per sfuggire a un editto del Regno di Napoli che imponeva tributi a ogni nuovo insediamento. Tali edifici risultavano costruzioni precarie, facilmente abbattibili e pertanto non tassabili.

Ricordo che il proprietario di un trullo vicino ai nostri, amico di mio padre, raccontava di quando arrivavano i gabellieri per riscuotere i tributi e i contadini, prima che arrivassero facevano in tempo ad abbattere il trullo, per ricostruirlo subito dopo la loro partenza.

Vi starete chiedendo che forma abbiano i trulli. Vi accontento dicendovi che hanno una forma approssimativamente circolare, con mura di pietre calcaree, spesse circa due metri, su cui si innesta un cono di altrettante pietre calcaree orizzontali, posizionate in modo concentrico, sempre più piccole, chiamate “chianche” le interne e “chiancarelle” le esterne, che terminano a punta!

Si, avete capito bene! A punta!

In realtà la punta a cui mi rifersco è la chiave di volta, quella che consentiva ai contadini di far crollare il trullo all’occorrenza, spesso decorata con motivi di carattere esoterico, mistico o propiziatorio. Ingegnosa, infine, è la presenza di un cornicione esterno, sporgente dal cono, utilizzato per la raccolta di acqua piovana, in piccole cisterne interrate.

Generalmente i Trulli sono unità modulari: al trullo centrale, il più grande del complesso, quello che funge da zona d’accoglienza, dove di solito si trovano nicchie ospitanti il camino, il letto e gli arredi vari, si collegano trulletti più piccoli ma altrettanto confortevoli.

La presenza di piccole finestrelle e altrettante porte basse e strette consentono ai trulli d’essere freschissimi in estate e caldi in inverno.

Chi ha la fortuna di abitarci stabilmente lo potrà confermare!

Hanno qualcosa di magico i trulli. Mi ricordano i nani, gli elfi, i maghi e i folletti.

Lo scorso Natale ho avuto la fortuna di fotografarli illuminati da migliaia di piccole lucine colorate.

Ricordo che quella sera, nonostante fosse molto freddo, sentivo l’aria ferma, quasi fossi circondata da una dimensione irreale. Tutto intorno a me era magia e luci e risatine di bambini felici.

Tutto come soffuso, ovattato, sfumato.

Una sensazione bellissima. Magica e incantata. Tipica dei trulli.

 

Come comunichiamo

Siamo una porta apertaImmagini, suoni, sensazioni.

Lo scorso weekend sono andata in campagna con la mia figlia piccola. Lei adora i gatti tanto che vorrebbe farsi chiamare “Sabrina sono un gatto”! Immaginate la sua espressione quando, trovando la sua gatta Giorgy, dopo averla cercata per ore, ha visto che finalmente aveva partorito quattro gattini… Ha spalancato la bocca, mentre lo sguardo le si illuminava e alzava le mani quasi pregasse… Non ha detto una parola ma, guardandola, ho capito che il suo cuore batteva più velocemente. Era felice!

Ciascuno di noi, quale unicità nel modo, costituisce un modello per gli altri e con gli altri interagisce. Come interagiamo? Lo facciamo attraverso la “Comunicazione”!

Comunichiamo a noi stessi e agli altri, sempre e in ogni modo, pur tacendo.

Reagiamo agli stimoli del mondo circostante utilizzando i nostri cinque sensi interni, riproducendo mentalmente ciò che abbiamo visto, sentito o provato.

Oltre a questo schema sensoriale abbiamo un sistema di linguaggio che utilizziamo per rappresentare la nostra esperienza nel mondo.

E’ dimostrato che utilizziamo la comunicazione verbale, ossia le parole, solo per il 7% del nostro linguaggio, così come utilizziamo la comunicazione para verbale, ovvero il tono e il timbro di voce, per il 38% e la comunicazione non verbale, cioè il linguaggio del corpo, per il restante 55%.

Questo può sembrare strano ma è proprio così: noi parliamo col nostro corpo più che con le stesse parole!

Nel momento in cui interagiamo con i nostri pensieri usiamo la comunicazione verbale, para verbale e non verbale, instaurando un legame strettissimo tra le nostre modalità sensoriali e il modo in cui filtriamo ciò che ci accade nella realtà.

Mi spiego meglio. I canali che ci permettono di entrare in contatto con la realtà sono tre:

  • Visivo
  • Auditivo
  • Cinestesico

– Utilizziamo il sistema visivo per osservare ciò che ci circonda e per riprodurre nella nostra mente le successive immagini.

– Utilizziamo il sistema auditivo per ascoltare suoni distinti e per riprodurli, poi, mentalmente.

– Utilizziamo il sistema cinestesico quando tocchiamo ciò che ci circonda rilevando la consistenza, la temperatura o l’umidità degli oggetti che abbiamo toccato e li ricordiamo, in seguito, provando delle sensazioni interne.

In base a quanto sviluppiamo uno di questi canali (poiché noi siamo già Visivi, Auditivi e Cinestesici ma sviluppiamo un canale piuttosto di un altro) ci contraddistinguiamo in persone tendenzialmente Visive, Auditive, Cinestesiche.

Una persona visiva:

  • a livello verbale, usa frasi come: “E’ tutto chiaro!…” oppure “Immagina…”;
  • a livello para verbale usa un tono e un volume di voce orientativamente alto con un ritmo veloce e poche pause;
  • a livello non verbale gesticola molto, ha una postura eretta e dei movimenti veloci e decisi.

Una persona auditiva,

  • a livello verbale, usa espressioni tipo: “Sento che…” oppure “ Questa cosa mi suona…”;
  • a livello para verbale usa un tono e un volume medio, con un ritmo cadenzato e scandisce bene le parole;
  • a livello non verbale la sua gestualità, la sua postura e i suoi movimenti ricordano quelli di un direttore d’orchestra.

Una persona cinestesica,

  • a livello verbale, usa locuzioni tipo: “Vorrei toccare con mano…” oppure “A pelle…”;
  • a livello para verbale il suo tono, il suo timbro, così come il volume, sono bassi;
  • a livello non verbale, infine, non gesticola quasi mai, ha una postura rilassata e i movimenti sono lenti e distesi.

Scegliamo di comunicare verbalmente in maniera consapevole ma l’uso della voce e la nostra fisiologia nascono, spesso, a livello inconscio.

Il 93% della nostra comunicazione avviene a livello inconscio, attraverso l’uso della voce e della fisiologia.

Le parole che diciamo sono sì importanti ma ancora più apprezzabile è come diciamo quelle parole e che tono e che portamento usiamo.

La mia Sabrina non ha detto una parola quando ha visto quei quattro gattini ma, guardandola, ho capito che sprizzava gioia da tutti i pori. Dopo due mesi di preoccupazioni e attenzioni verso la sua gatta, finalmente era stata premiata da una felicità senza pari!

 

 

 

 

 

 

Noi donne sballottate continuamente tra lavoro e famiglia

Forse non è così?

Dubito!

Per carità lungi da me voler scatenare una polemica tra chi pensa che noi donne siamo penalizzate dal sistema politico, economico, sociale perché mancano gli asili nido o gli sgravi per le assunzioni delle baby sitter o ancora gli aiuti per la cura degli anziani e chi, al contrario, afferma che da sempre le donne si sono barcamenate tra famiglia e lavoro e, dunque, è una situazione “normale”, che va avanti da sempre e che chissà e quando cambierà!

Ebbene sta di fatto che noi donne lavoriamo attivamente, impegnandoci al massimo!

Lo facciamo, però, con enormi sacrifici!

A suon di compromessi con la famiglia

…e la vita privata!

Qualche tempo fa ricordo di aver letto un libro di un’autrice inglese, Allison Pearson intitolato: “Ma come fa a fare tutto?”

L’autrice dava una bella panoramica di quella che era la situazione delle donne messe a dura prova nel dover conciliare programmi di lavoro, impegni familiari, figli da educare e vita privata da soddisfare.

La protagonista, ricordo, era una donna molto attiva, continuamente tormentata, tuttavia, tra la voglia di realizzarsi dal punto di vista lavorativo e i continui sensi di colpa, dovuti ai compromessi a cui doveva cedere in famiglia.

Voi credete che questa situazione sia cambiata oggi?

Non credo proprio!

Non perché io mi trovi nella identica situazione della protagonista del libro ma perché vedo decine di donne intorno a me che si trovano nella mia stessa condizione.

Ora, come allora, continuiamo a barcamenarci tra lavoro e famiglia. Stop.

Eppure di strada noi donne ne abbiamo fatta!

Basti considerare che sino all’Ottocento il numero delle donne lavoratrici qui in Italia era davvero molto esiguo!

Per molti secoli le donne sono state “invisibili”, relegate entro le mura di casa o di un convento, dedite soprattutto alle discipline minori come il ricamo, la miniatura e la tessitura.

Per lungo tempo non hanno potuto intraprendere alcun tipo di apprendistato né alcun tipo di studio se non in maniera privata.

Una svolta reale al cambiamento del ruolo femminile è avvenuta solo con la Rivoluzione industriale.

A partire dal 1780, infatti, anno in cui viene introdotta la macchina a vapore, l’intero sistema produttivo, economico e sociale subisce una profonda trasformazione che vede la nascita della classe operaia e all’interno di questa, la crescita del numero delle donne, che si guadagnano da vivere LAVORANDO.

Solo allora, non prima, cresce il numero delle donne lavoratrici che finalmente possono usufruire dei corsi di formazione professionale e dell’accesso al sistema economico e politico al pari degli uomini!

Non hanno ancora il diritto al voto che, però, che come ben sappiamo, sarà introdotto solo nel 1948, quando le Nazioni Unite adotteranno la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.

Avevo ragione?

Ne abbiamo percorsa di strada, non vi pare?

Continuiamo così.

Siamo donne, noi!